pina_donboscoSi è verificato all’ospedale San Giovanni Bosco l’ennesimo caso di malasanità che vede coinvolta una persona trans: Nunzia, ricoverata per un micro-infarto, ha infatti deciso di rinunciare alle cure pur di non essere offesa e derisa dagli operatori sanitari e dagli altri degenti.

Nonostante i documenti d’identità confacenti la sua identità di genere, gli operatori sanitari incaricati di portarla in reparto l’hanno continuamente derisa rivolgendosi a lei al maschile e discutendo su quale reparto fosse il più adatto.

Non si tratta del primo caso di questo tipo che si verifica nello stesso ospedale: nel 2014 Pina, una donna transgender, fu ricoverata nel reparto maschile e denudata alla presenza degli altri degenti. L’intervento di alcuni attivisti [nella foto] ha portato il Sindaco Luigi de Magistris ad emanare una direttiva rivolta a tutti i presidi ospedalieri della città (in cui si ribadiva la responsabilità dei professionisti, la dignità dei pazienti, i diritti umani inviolabili alla salute, la privacy e spazi riservati in casi doppiamente sensibili) a cui fece seguito un’interpellanza parlamentare.

Arcigay Napoli chiede ancora una volta un tavolo di confronto tra tutte le autorità responabili delle Pari Opportunità a livello locale: Daniela Villani (Comune di Napoli); Isabella Bonfiglio (Città Metropolitana di Napoli) e Chiara Marciani (Regione Campania).

“E’ necessario – dichiara Daniela Lourdes Falanga, responsabile per le politiche trans dell’associaizone – trovare soluzioni adeguate rispetto a fatti che non possono ripetersi quali quelli che ledono la dignità di pazienti che dovrebbero solamente avere garantito il diritto alla salute nella maniera più dignitosa possibile. Solo un confronto diretto tra le autorità e le associazioni locali che si occupano delle questioni sensibili inerenti alle persone transgender può determinare quelle buone prassi che garantiscono appieno l’uguaglianza e la dignità di tutti i cittadini, lasciando cadere quei muri di pregiudizio che possono determinare solo e nient’altro che morte sociale. Inoltre è opportuno anche rendere obbligatori corsi di formazione agli operatori del settore sanitario perché questi sappiano dedicarsi alle cure di chiunque indistantamente”

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