“Ho quasi 16 anni, sono gay, e decisamente furioso; a scuola, ogni giorno vengo pesantemente deriso, perché non rispecchio lo stereotipo del “macho”, a scuola più o meno una volta alla settimana, un tale, fiero della sua eterosessualità, con aria strafottente e sarcastica, si avvicina a me e con un odioso atteggiamento da bulletto mi chiede. “com’è prenderlo in culo? “So che fai pompe al prof……..Deve essere per questo che sai i voti (Io non conosco nessun voto), (Io non faccio pompe a nessun prof.). E’ questo quello che sono costretto a sopportare 200 giorni l’anno, tranne nei fortunati giorni che sono a casa per motivi di salute.
omissis
Oggigiorno vivere un’adolescenza tranquilla, nonostante sia già stata abbastanza turbata dalla scoperta della propria sessualità, è ciò di più arduo che un teenager omosessuale e benestante (ci sono problemi peggiori) possa sperimentare grazie agli amici omofobi.
Ma la cosa più spaventosa, per non dire addirittura terrificante, è che non solo gli studenti sono ricolmi di idee retrograde, ma anche gli insegnanti perseguono le stesse ideologie perbeniste, e arrivano persino a mostrarle ai loro alunni che le assimilano quasi come se stessero imparando a tradurre greco. E’ vomitevole che la discriminazione a scuola, sempre incivile e gratuita, non sia punita dai docenti almeno con un basso voto in condotta (e sarebbe ancora poco). Io come studente omosessuale mi sento offeso e non tutelato nei diritti che la Costituzione “sancisce”

Questa lettera scritta al dottor Maurizio Palomba, psicologo e psicoterapeuta, counselor supervisor a Roma, il 22 luglio 2003, è un chiaro esempio, e nemmeno dei più gravi, della discriminazione omofobica che subiscono numerosissimi studenti gay e studentesse lesbiche e un esplicito atto d’accusa all’istituzione scolastica, incapace di assicurare al giovane la possibilità di esprimere liberamente la propria personalità e di educare alla comprensione e al rispetto della “diversità”.
La scuola vive, infatti, la contraddizione tra un’omosessualità sempre più visibile e perlomeno tollerata, se non accettata, e il dramma della discriminazione, purtroppo ancora in agguato.

Non è omofobia il solo insulto verbale, ma sono state osservate in ambito scolastico e ai danni di giovani gay, violenza emotiva, fisica, sessuale, intimidazioni e minacce. Tali atti costituiscono il fenomeno conosciuto come bullismo. Un fenomeno in crescita all’interno della scuola, fin dai primi anni di scolarizzazione, in particolare nei paesi industrializzati e nelle aree urbane. Secondo una recente ricerca il 40% degli adulti omosessuali, vittime di persecuzione a scuola negli anni dell’adolescenza, ha tentato il suicidio almeno una volta e ha più volte pensato di farsi del male. Dai risultati dell’indagine emerge che le prepotenze di natura verbale prevalgono nettamente rispetto a quelle di tipo fisico. Il 42% dei ragazzi afferma di essere stato preso in giro, il 30% circa ha subito delle offese, mentre il 23,4% dei soggetti ha segnalato di aver subito calunnie.

Per quanto riguarda le violenze di tipo psicologico, il 23,4% denuncia l’isolamento di cui è stato oggetto. Infine, l’11% circa dichiara di essere stato minacciato. Le prepotenze di natura fisica risultano essere più frequenti tra i ragazzi, mentre tra le ragazze e tra i più giovani prevalgono episodi di tipo verbale. Il 22,1% dei ragazzi sotto i 14 anni contro il 16% e il 14% rispettivamente dei ragazzi di 15 e 16 anni e con oltre 16 anni dichiara di aver subito atti di bullismo.

All’interno della scuola gli episodi di violenza e sopraffazione avvengono soprattutto in aula (27%) e a seguire nei corridoi (14%) o nel cortile (16%). Inoltre, il 20% del campione denuncia di essere stato vittima al di fuori delle zone scolastiche, cioè in strada, in piazza, in corriera e al bar.
Il bullo si trova nella maggior parte dei casi nella stessa classe della vittima (30%), oppure è un suo coetaneo (12,2%, ma è frequente (21,4%) che il prepotente non si trovi all’interno della stessa scuola.
Derisione, offese verbali, prepotenze, vera e propria violenza fisica, gesti sistematici, in una parola bullismo, che si possono trasformare in un incubo e provocare seri danni a adolescenti gay e lesbiche.

Gli episodi di bullismo sono diffusi e in aumento, specialmente tra i maschi, come dimostrano i dati di una ricerca effettuata nel 2002, secondo cui un adolescente su tre rispondeva affermativamente alla domanda “Si verificano minacce o atti di prepotenza da parte dei compagni nella tua scuola”? Dal 33,5% del 2002 si sale al 35,4% del 2004. Solo il 36% dei maschi tra i 12 e i 18 anni dice di non aver mai picchiato o minacciato qualcuno, quota che arriva al 70% per le femmine, mentre il 23% dei ragazzi confessa di aver fatto entrambe le cose.

Il 20% dei giovanissimi omosessuali è accettato dai propri compagni e dalla scuola e nell’80% dei casi soltanto sopportati.
Contro la paura, l’odio, l’intolleranza o il disagio nei confronti delle persone omosessuali il giovane non trova nella maggior parte dei casi aiuto nella famiglia, che spesso non sa nulla, perché pensa che sia un problema che non la riguarda, non trova aiuto nella scuola, perché la maggioranza degli insegnanti avallano e perpetuano i pregiudizi, come espresso nella lettera al dott. Palomba o sono indifferenti alle problematiche relazionali dei propri allievi, in ogni caso impreparati ad affrontare l’argomento della sessualità, che pure tanto interesse suscita nei giovanissimi e sovente preferiscono ignorare episodi sia pur lievi di bullismo omofobico.

Ma come si comporta un ragazzo omosessuale in una situazione scolastica omofobica ?
Secondo un’aggiornata ricerca dell’Università degli Studi di Bologna, l’allievo gay può decidere di autoescludersi per la paura dell’esclusione da parte dei compagni o per la paura di subire discriminazioni. Nel caso in cui il giovanissimo sceglie di non rivelarsi, pur di rimanere nel gruppo ed esserne parte, probabilmente segue una delle seguenti strade:
1) assume atteggiamenti d’emulazione, manifestando interesse per le
ragazze e quindi si comporta come se fosse eterosessuale.
2) assume un atteggiamento neutro – non si dichiara e non si esprime in nessun modo- e per questo viene percepito come se fosse asessuato oppure molto “riservato”.
3) assume atteggiamenti di emulazione dei comportamenti omofobici degli altri membri del gruppo ed esprime disapprovazione dell’omosessualità degli altri.

In un quadro del genere il ragazzo si trova a vivere represso, negato, “obbligato” ad assumere un “falso sé”, con tutte le conseguenze che si possono immaginare a livello di autostima e di rapporto con se stesso e con gli altri e, così facendo prende le distanze dalla propria omosessualità.
Nella scuola, dunque, al diffuso fenomeno di condanna ed esclusione delle ragazze e dei ragazzi che faticosamente scoprono la propria omosessualità, non corrisponde un intervento appropriato che ristabilisca un’atmosfera di crescita ed equilibrio. Il diritto ad una serena formazione della propria personalità è ancora oggi negato agli adolescenti delle scuole italiane, che quasi mai ricevono una risposta positiva all’orientamento omosessuale.
L’ambiente scolastico, sia nell’ambito propriamente didattico, sia in quello delle relazioni interpersonali tra adolescenti, è frequentemente il luogo in cui sono attuate pratiche razziste o discriminatorie e in cui i giovani talvolta sono sottoposti ad interventi di “rieducazione” che colpevolizzano e traumatizzano.

Nella maggior parte delle scuole italiane migliaia di studenti omosessuali non esprimono la propria personalità più profonda, anzi sovente la nascondono o la camuffano per evitare la riprovazione e l’esclusione sociali, crescendo in questo modo convinti di essere gli unici al mondo e quindi disperatamente soli. I progetti di prevenzione del disagio adolescenziale malgrado ciò concernono raramente l’argomento dell’orientamento sessuale.

Già nel 1993 il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione affermava in un documento sui diritti degli studenti che “è essenziale che l’allievo sia concretamente riconosciuto come soggetto attivo di diritti e, a tal fine, sono determinanti gli atteggiamenti e i comportamenti degli adulti: l’esempio e la testimonianza non riguardano solo la pratica osservanza delle norme, ma anche la riflessione intorno al valore che esse rappresentano in senso generale e specifico per la vita dei cittadini, anche la presenza di “diversi” e di appartenenti a minoranze etniche e religiose può essere occasione preziosa per lo sviluppo di consapevolezze e di atteggiamenti civili alla generalità degli allievi”.

Lo “Statuto delle studentesse e degli studenti”del giugno 1998 ha ribadito che “lo studente ha diritto ad una formazione culturale e professionale qualificata che rispetti e valorizzi l’identità di ciascuno e sia aperta alla pluralità delle idee”
Le istituzioni educative tuttavia faticano a mettere in pratica l’obiettivo di una maggiore integrazione degli/delle adolescenti omosessuali, attraverso interventi di sensibilizzazione sulla pluralità culturale e di promozione del rispetto e della non violenza. Così nelle scuole del nostro Paese centinaia di migliaia di adolescenti lesbiche e gay rischiano di essere oggetto di un’opera di demolizione della loro identità, di diminuzione dell’autostima, di stigmatizzazione come portatori di un disordine morale oggettivo, di una condizione anomala fondata sull’assenza di verità di giustizia o addirittura di uno stato patologico, nonostante l’omosessualità sia stata cancellata dall’elenco delle patologie oltre un quarto di secolo fa e riconosciuta come una variante naturale del comportamento umano.

Un intervento educativo che fornisca strumenti concettuali ed operativi per la progettazione nelle scuole di percorsi di educazione sulla questione omosessuale non riguarda solo gli studenti omosessuali, ma può rivestire una più ampia funzione di valorizzazione dell’integrazione, della dimensione relazionale e del rispetto delle diversità e della pluralità culturali. La promozione dello sviluppo di consapevolezze e di atteggiamenti civili nei confronti delle diversità culturali o d’identità, da parte della generalità degli studenti rappresenta un obiettivo in sé, oltre a costituire il necessario sostegno ad una reale integrazione e ad un armonico sviluppo della personalità delle studentesse e degli studenti omosessuali come soggetti attivi di diritti, all’interno della comunità scolastica, da qui la necessità di un serio e articolato intervento culturale e sociale, di cui la formazione di insegnanti, educatori e operatori rappresenta un nodo essenziale.
Il “territorio” scolastico è tradizionalmente lo spazio migliore per un’efficace azione di prevenzione del disagio adolescenziale, poiché in esso agiscono i tre sistemi di riferimento per il bambino e l’adolescente: il gruppo dei pari, gli insegnanti e i genitori.

Lezioni di educazione sessuale rappresentano eccezioni e sperimentazioni, in percentuale del 7,5% nelle scuole medie e del 6,6% nelle superiori.
La legge 162/90 affida alle scuole di ogni ordine e grado il compito di prevenzione dei fenomeni di disagio e di devianza minorile. Grazie a questa legge sono nati negli anni ’90, ad esempio, i “centri d’informazione e consulenza” per le scuole superiori e contemporaneamente, sia nelle singole scuole, sia negli organi preposti all’amministrazione scolastica si è costituita una rete di referenti con il compito di promuovere, organizzare e coordinare quelle attività che vanno sotto il nome d’educazione alla salute, nell’ambito della quale sono affrontati i problemi concernenti il benessere psicofisico dell’alunno, per poter combattere il disagio giovanile nei suoi vari aspetti.

Corsi d’educazione sessuale e alla sessualità potrebbero contrastare fenomeni di omofobia e dal 1975 ad oggi varie proposte di legge in tale ambito sono state avanzate. Da ultimo, nel 1998, l’allora ministro della pubblica istruzione Giovanni Berlinguer assicurava l’introduzione dell’educazione sessuale negli istituti d’istruzione: “Lo scopo è quello di far acquisire ai ragazzi criteri di giudizio che favoriscano comportamenti rispettosi di sé e degli altri, partendo da un’informazione scientifica. La relazione mente-corpo, conoscenza-affettività va fatta entrare nell’attività della scuola, che finora ha delegato tutto alle famiglie e alla società”.
In realtà, una legge che introduca l’educazione sessuale e alla sessualità come disciplina obbligatoria, almeno nelle scuole superiori, non è stata ancora emanata. Il ministero dell’istruzione, in effetti, appoggia finanziariamente i singoli istituti che organizzano corsi d’educazione sessuale e alla sessualità, i quali inviano ai rispettivi Centri di Servizi Amministrativi (ex Provveditorati agli Studi) i loro progetti, valutati successivamente da un’apposita commissione. Le proposte considerate valide ricevono un finanziamento, erogato dalla Presidenza del Consiglio.

La soluzione al problema del disagio di studenti e studentesse causato dall’omofobia è complessa e richiederebbe la collaborazione di docenti, educatori, professionisti e genitori. Gli operatori di salute mentale, quali psicologi e psichiatri, sono sovente condizionati dall’omofobia, dal pregiudizio e dall’intolleranza, rendendo ardui gli sforzi di prevenzione del disagio, che devono in verità includere la capacità di trattare temi come l’omosessualità, dove la stessa sessualità rappresenta ancora un problema, per questo gli operatori dovrebbero essere istruiti e formati appositamente.
Servizi di sanità pubblica come l’ex USL 8 di Arezzo, associazioni come Arcigay e Agedo, talvolta sostenuti dagli enti locali, hanno svolto attività informativa e preventiva, tra l’altro nell’ambito delle discriminazioni causate dall’orientamento sessuale, organizzando incontri negli istituti scolastici, producendo opuscoli informativi, proiettando video o film sul tema con successivo dibattito tra gli allievi.

La scuola dovrebbe sostanzialmente fornire strumenti utili all’autorealizzazione delle persone, senza proporre modelli precostituiti, favorendo fattori importanti per la crescita sociale del giovane quali: consapevolezza di sé, autonomia di giudizio, rispetto di sé e degli altri, atteggiamenti positivi verso la sessualità, una conoscenza più approfondita della sessualità come dimensione biologica, consapevolezza della determinazione culturale dei ruoli e una considerazione della sessualità come fatto relazionale, ludico e riproduttivo.

Se l’istituzione scolastica riuscisse realmente a contribuire alla formazione del giovane come persona adulta, ad insegnare il valore del confronto con l’Altro, a non aver paura e quindi a non essere intollerante verso il “diverso”, il problema del bullismo e del bullismo di matrice omofobica in particolare assumerebbe dimensioni di minore gravità. Gli unici operatori scolastici che nei programmi della propria disciplina inseriscono e trattano argomenti attinenti all’educazione sessuale e alla sessualità sono i docenti di religione, i quali, fermo restando il rispetto della pluralità delle opinioni, ne propongono una visione tradizionale, lasciando a pochi docenti idealisti il compito di svolgere una funzione educativa e formativa ad ampie vedute, spesso nell’indifferenza, se non talvolta nell’ostilità di colleghi e genitori.

Fausto Tucci
Docente presso l'Ist. Tecnico Nautico "Nino Bixio" di Piano di Sorrento (NA),
Coordinatore Commissione Scuola Arcigay Napoli

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